Una decisiva svolta ai frammentati provvedimenti sinora adottati per la difesa dal fuoco, si concretizzò a Torino il 20 aprile 1786, quando il Re Vittorio Amedeo con un Regio Regolamento, stabilì le modalità di intervento e il comportamento degli uomini e delle pompe destinate all’opera di estinzione, nonché l’individuazione del personale, tra gli artiglieri del Corpo di Guardia alle quattro porte della città di Torino, e le norme del loro allertamento ad incendio avvenuto.

Questi venivano allertati dalle campane delle chiese più vicine al luogo della sciagura, che battendo a martello, avrebbero segnalato il fuoco. Il segnale veniva ricevuto dai tamburini dei  Corpi di Guardia che suonavano il Rapel o la Generala, a seconda la gravità dell’incendio.

Dalla Porta Po, dalla Porta Nuova, dalla Porta Palatina e dalla  Porta Susina, e nei casi gravi anche dal Palazzo di Città, accorrevano con le loro pompe circa 150 uomini. Altri 150 soldati armati controllavano l’ordine pubblico, le suppellettili e le masserizie che venivano accumulate in strada nell’intento di sottrarre alle fiamme più combustibile possibile.

Con le pompe faticosamente alimentate dai secchi colmi d’acqua, intere squadre di soldati isolavano l’incendio tagliando travi, tetti e sgomberando le case.

La tragicità degli eventi obbligava gli uomini, anche a causa della inadeguatezza dei mezzi,  ad un massacrante lavoro che sovente si protraeva per giorni interi. Si spiega così l’alto numero di militari ed artigiani partecipanti, oltre all’immancabile quanto indispensabile apporto dato dai numerosi volontari che offrivano la loro opera soprattutto per il trasporto dell’acqua.

Avvertiti dalle campane della chiesa di Santo Spirito, accorreva anche la Compagnia dei Brentatori, oltre che naturalmente i muratori, carpentieri e falegnami, secondo un programma che periodicamente veniva aggiornato.

Questa era dunque la situazione di Torino nel 1786. La sua popolazione contava nello stesso anno 74.527 abitanti. Il suo territorio, sia urbano che extraurbano, poteva  contare  in  caso  di  pericolo  su  ben  sei  pompe opportunamente dislocate nei punti nevralgici della città e, fatto assolutamente importante, è che sin dal suddetto anno si parla di un servizio ippotrainato delle pompe.

Il 1° marzo 1816, il Regio Regolamento del 1786 venne rivisto per volere del governatore della città marchese Thaon Conte di Revel, che istituiva un picchetto di “sette individui cioè due tolari, due muratori e due falegnami con un caporale scelto nella professione che giudicherà il Direttore delle Pompe”. Alla carica di direttore venne chiamato l’ingegner Pietro Lana, futuro primo comandante della Compagnia Operaj Guardie a Fuoco della Città di Torino.

La Compagnia Operaj Guardie a Fuoco della Città di Torino

Quello che potrebbe definirsi il punto di partenza della storia dei pompieri di Torino, ebbe origine il 22 ottobre del 1824 con l’istituzione da parte del re Carlo Felice con le sue Regie Patenti, della Compagnia Guardie a Fuoco per la Città di Torino.

 Inizialmente l’organico era composto da 43 uomini così suddiviso:

1 Capitano
1 Tenente
2 Sergenti
8 Caporali
30 Operai guardie
1 Trombetta.

Due anni dopo venne aumentato di sei unità più un Capitano Comandante e un Luogotenente. I componenti la compagnia erano prevalentemente artigiani e operai impiegati nelle diverse officine della città. Essi avevano l’obbligo di esercitarsi con le varie attrezzature tutte le domeniche  mattina.

Furono istituite due stazioni di guardia, una al Palazzo di Città dove giacevano le pompe di proprietà del comune; l’altra presso il Palazzo Reale per quelle di proprietà del re.
L’uniforme di cui erano dotati era composta di:

  1. Un vestito di panno bleu.
  2. Paramano colletto, e rivolte color bleu celeste, con fibra rossa.
  3. Bottoni gialli dorati.
  4. Calzoni col medesimo panno, agiati e lunghi sino al piede.
  5. Porta appia, e Bobriere neri con fibbia e ornamenti gialli,
  6. Sakot con guarniture gialle

A tutti i componenti la compagnia e soprattutto agli operai, veniva caldamente raccomandata una:
“Esatta obbedienza ed un rigoroso rispetto à suoi superiori.  Esso terrà sempre una condotta lodevole, compiendo esattamente, ai doveri di Religione, ed evitando le sregolatezze di vivere e sopra tutto l’ubriachezza, attenderà assiduamente alla di lui arte, e sarà sempre in buona armonia coi suoi compagni di servizio”.


Guardie al Fuoco in divisa d’epoca

Tutte le trasgressioni venivano duramente punite e, per i casi più gravi, era possibile anche l’allontanamento dalla Compagnia. Non mancavano le pene corporali eseguite in una “sala di correzione” dove il colpevole poteva essere rinchiuso senza “altro cibo, che pane e acqua”.

Il primo modello organizzativo però non garantiva una certa tempestività del soccorso, perché,  ricevuta la segnalazione di soccorso, il pompiere piantone del Palazzo Civico, la prima sede dei pompieri, doveva avvertire il trombettiere, il quale  a sua volta doveva  recarsi presso le abitazioni e i vari posti di lavoro, per chiamare a raccolta gli uomini.

Giunti finalmente in caserma, dopo aver indossato la divisa, potevano prendere la pompa e portarsi sul luogo dell’incendio.

I tempi di organizzazione e di uscita della squadra,  come è facile evincere erano lunghi, che si ripercuotevano di conseguenza sull’incendio che assumeva rapidamente dimensioni a volte drammatiche. Succedeva quindi che i tempi di percorrenza dalla sede al luogo del sinistro fossero lunghi, e che la popolazione non sempre accogliesse con riconoscenza l’arrivo dei pompieri.

Questi giungevano sul luogo dell’incendio stanchi e trafelati a causa del faticoso trasporto delle trombe da incendio, in quanto all’epoca il traino era ancora affidato alla sola forza fisica degli uomini.

Nel 1862, dopo il gravissimo incendio della Casa Tarino di via Po 18, ora 39, che causò la morte di ben 17 persone tra i soccorsi e i soccorritori, il Consiglio Comunale adottò dei provvedimenti migliorativi, istituendo cinque stazioni di guardia, collegate telegraficamente con la Stazione Centrale di Palazzo Civico, e portando  l’organico  a 101 unità.
Le nuove sezioni furono così dislocate:

1° Sezione Centrale (Palazzo di Città)
2° Sezione (via Bellini)
3° Sezione Moncenisio (via Cibrario)
4° Sezione Po (via Matteo Pescatori)
5° Sezione Borgo Nuovo (via S. Francesco da Paola)
6° Sezione San Salvario (via Thesauro).

Questi provvedimenti, seppur importanti, non crearono ancora  un servizio sufficientemente in grado di affrontare nel migliore dei modo le situazioni più impegnative. Le poco efficaci pompe a mano non permettevano un’adeguata risposta poiché il loro trasporto era ancora affidato alla forza fisica degli uomini che, giunti stanchi e trafelati, si trovavano nell’impossibilità di agire prontamente.

Sempre nell’ambito di questi provvedimenti si installarono delle bocche d’acqua per il rifornimento idrico. Distribuite nelle principali vie e piazze divennero circa 700 nel 1899.

Tutte le stazioni furono dotate di una scala aerea costruita e brevettata dall’artigiano Paolo Porta. Questo nuovo tipo di scala a sfilo  fu la prima  nel mondo, e Torino venne così a disporre dal 1863, prima di altri corpi pompieristici, di un attrezzo di estrema importanza che determinava un nuovo modo di operare in caso di incendio negli alloggi ai piani alti delle case.
Venne acquistato anche il primo apparecchio per ambienti irrespirabili, sostituito poi nel 1890 da uno più moderno inventato dal Cav. Luigi Spezia, comandante dei pompieri di quel periodo.

Nel 1863 dopo soli sei anni di attività, anche il teatro Alfieri venne distrutto da un incendio.

Il continuo sviluppo della città e la continua crescita industriale, imposero al Consiglio Comunale sempre maggiori sforzi per adeguare i pompieri all’evolversi della società.

Purtroppo continuavano i tragici incendi con perdite di vite umane anche tra i pompieri.

Durante l’opera di spegnimento di un violento incendio scoppiato nel sotterraneo di una drogheria di via Milano 14, il mattino del 28 Ottobre del 1875, il pompiere caporale Giovanni Salza, travolto dal crollo della volta perdette la vita. Altri sedici pompieri rimasero feriti.

Un’altra pagina meno drammatica è data dall’atto compiuto dal caporale Giuseppe Robino. Il 27 Gennaio del 1880 con altri tre suoi compagni, riuscì a salvare da un alloggio in fiamme in via Roma due donne, un bambino e un anziano signore. L’ammirazione per il gesto compiuto fu così sentito dalla popolazione, che il De Amicis, sull’onda dell’emozione collettiva, si ispirò ad esso per scrivere una delle pagine più belle del suo libro Cuore.

A seguito dell’invenzione del telefono, avvenuta nel 1857 ad opera del fiorentino Antonio Meucci, che per primo riuscì a trasmettere suoni e voci tramite il suo telegrafo parlante, le ormai obsolete linee telegrafiche  nel 1882 vennero sostituite con le più moderne linee telefoniche, che permisero di abbreviare i tempi di collegamento tra le varie stazioni di servizio dei pompieri.

Anche l’utenza otto anni dopo poté disporre di apparecchi telefonici di pubblico utilizzo  per la chiamata urgente dei pompieri. Prima di allora bisognava purtroppo recarsi di persona presso la più vicina stazione.


Il   caporale   Robino   porta  in   salvo   un
bambino durante un’incendio in via Roma

I 40 apparecchi telefonici, tanti erano nella fase iniziale, vennero collocati in cassette di ghisa caratterizzate dal colore rosso e dalla illuminazione notturna, e poste a distanza di 200 metri l’una dall’altra.

Il 1883 e un’altra data storica per l’inaugurazione della Caserma delle Fontane di S. Barbara. Ubicata nell’antica strada di S. Barbara – poi Corso Regina Margherita- fu per cento anni la Sede Centrale.

Nello stesso anno venne acquistata la prima potente pompa a vapore “THIRION”, montata su di un carro a quattro ruote, con sospensioni a molla e trainabile da una pariglia di cavalli.

Capace di una forza di 40 cavalli-vapore, era in grado di erogare circa 2000 litri al minuto. Dopo undici minuti dal momento dell’accensione della caldaia, si ottenevano le sette atmosfere necessarie per il normale funzionamento della pompa.

Per ridurre i tempi di entrata in funzione, un pompiere-fuochista aveva il compito di tenere al minimo la pressione anche di notte. Poi lungo il tragitto verso l’incendio, lo stesso pompiere attizzando il fuoco, provvedeva ad alzare la pressione così da avere la caldaia pronta al sopraggiungere sul luogo del sinistro.

Dal 1885, la gloriosa denominazione di Guardie a Fuoco venne abbandonata quando ormai questa non rispecchiava più il nuovo modello organizzativo. All’artigiano, che solo all’occorrenza veniva impiegato per il soccorso, si sovrapponeva la figura sempre più preparata del pompiere professionista, con un rapporto di lavoro di tipo stabile.

Nacque così la Compagnia Pompieri di Torino.

Si poneva a quel punto anche l’esigenza non più derogabile di avere degli spazi autonomi e maggiormente rappresentativi, che certamente non potevano più essere le ormai inadeguate soffitte del Palazzo Comunale. Dal 1883 la Compagnia spostò la sua sezione principale e il suo apparato direzionale in una caserma ubicata in contrada Santa Barbara divenuta poi corso Regina Margherita.

E’ da qui che l’evoluzione tecnologica conoscerà un’impennata in avanti, imprimendo anche alle macchine da interventi un inevitabile adeguamento e modificazione, e i pompieri saranno tra i primi ad avvantaggiarsene, segno evidente del timore dell’uomo verso la potenzialità distruttiva del fuoco.

La “rivoluzione industriale” della metà dell’ottocento, che trasformò il nostro panorama economico da contadino ad industriale, era ormai ben assimilata dalla società del periodo, e fu dettata dall’impiego del vapore in tutte le attività, anche per il movimento delle pompe da incendio, che permette di cogliere dei notevoli successi nel campo della sicurezza.

La forza fisica degli addetti viene soppiantata del generoso vapore che con inesauribile forza spinge l’acqua, gonfiando spasmodicamente i tubi di mandata, fin sull’incendio che per la prima volta trova un degno avversario.

E sempre in relazione ai quattro elementi principali che costituiscono il nostro ambiente: l’acqua, l’aria, il fuoco, la terra, che sono  poi gli elementi in cui operano i pompieri, sorgono, sempre nella seconda metà dell’Ottocento, attenzioni che ci stupiamo di vedere a quest’epoca, come autorespiratori, macchine ed altri elementi pneumatici destinati alla respirazione negli ambienti ostili.

E’ solo alla fine del secolo XIX che nascono le prime industrie che provvedono alla costruzione di attrezzi e macchine destinate all’uso pompieristico.

Prima di allora e ancora per gli anni successivi, pur con minore intensità, erano gli stessi pompieri che si autocostruivano le macchine secondo le loro necessità ed esperienze, utilizzando le meccaniche di base che l’industria forniva loro.

Quattro anni dopo, e precisamente nel 1887, l’introduzione della trazione animale dei carri dei pompieri, consentì di migliorare l’efficienza operativa. A tale servizio vennero destinati una quindicina  cavalli dei servizi pubblici cittadini.

Sei cavalli di giorno e dieci di notte venivano sempre tenuti pronti e bardati. Si narra che i cavalli, conoscendo ormai molto bene il loro compito, allo squillare delle campane di chiamata dell’emergenza uscissero dalla stalla e si portavano davanti al mezzo che sapevano di dover trainare, e allo chauffeur, antica denominazione del pompiere conduttore, non rimaneva che collegarlo al carro e partire immediatamente.


Una delle prime pompe a vapore in dotazione ai Pompieri di Torino

Queste innovazioni permisero di abbandonare un modello di servizio approssimativo, per intraprenderne uno più efficiente ed organizzato.

Si affacciava così una figura di pompiere sempre più preparato professionalmente, dotato non di sola forza fisica e coraggio, ma anche di capacità nell’utilizzare le attrezzature sempre più complesse che le industrie cominciavano ad approntare per questo specifico servizio.

 

E tra  una “pompata” e l’altra, con l’opera e il ruolo dei pompieri  in  primissimo  piano per le grandi e gravi sciagure cittadine dei primi decenni dell’Ottocento, come l’incendio della polveriera di Borgo Dora  e di Casa Tarino in via Po, si arriva alla fine del XIX secolo con le grosse sostanziali modifiche alle macchine ed attrezzature, azionate dalla forza del vapore.

Nell’ultimo scorcio del secolo le innovazioni apportate alla Compagnia furono numerose  e tutte qualitativamente importanti, tanto da cambiarne profondamente l’assetto. Il quadro che ne seguì era di una struttura completamente riformata nei suoi ordinamenti, e potenziata in uomini e mezzi, stabilendo così un primo vero cambiamento col passato.

Questa in definitiva poteva dirsi la situazione della Compagnia di pompieri di Torino alla conclusione del secolo XIX.

Un secolo fondamentale perché attraversato da moltissime vicissitudini più o meno gravi, qualcuna anche bella, ma tutte importanti ai fini del conseguimento di una maggiore maturità professionale.

Un aspetto molto importante era dato dal rapporto di fiducia che si era instaurato con la gente, che aveva ormai familiarizzato con la figura del pompiere, apprezzandone il suo insostituibile ruolo all’interno della società; la gente lo sentiva come uno di loro, poiché era uno di loro, una persona del tutto comune capace però nei momenti critici di farsi carico della sicurezza della collettività. L’affannoso scalpitio dei cavalli, accompagnato dall’incessante tintinnare della campanella che preannunciava il veloce  avanzare  degli  sbuffanti degli sbuffanti carri a vapore, pur ponendo negli astanti numerosi interrogativi circa la loro destinazione e il motivo di tanta folle corsa, non destava più solo timore ed ansia, ma anche ammirazione per ciò che i pumpisti si apprestavano a compiere.

La Compagnia si presentava alle soglie del Novecento come un organismo efficiente, compatto e ben dotato di tutti gli strumenti che la tecnologia del tempo poteva offrire. Cominciava in definitiva ad affermarsi una figura di pompiere sempre più preparato con, non solo più forza fisica e coraggio, ma anche capacità nell’utilizzare le attrezzature sempre più complesse.

A grandi passi ci allontaniamo dal secolo scorso, e con esso si allontana anche tutta la “vecchia” tecnologia che impietosamente viene sostituita dall’introduzione dei propulsori a benzina, che oltre al trasporto senza fatica dei pompieri, provvede al movimento delle pompe a lui collegato.

Ma tutte le tecnologie passate, come quelle future, hanno sempre avuto e sempre avranno bisogno dell’opera umana; questo lo  si evince dall’osservare le immagini, che fanno capire  come si operasse un tempo e come si opera tuttora perché lo spirito dei pompieri è lo stesso, indipendentemente dall’attrezzo e dalla macchina che il pompiere manovrava e manovra, oggi come allora.

Abbandonata quasi del tutto la trazione animale, nel 1907 il Corpo venne dotato delle prime quattro vetture con motore a benzina per il traino delle pesanti pompe a vapore e il trasporto del personale.


Autopompa su meccanica Isotta Fraschini

La scelta, inevitabile, cadde su autoveicoli Fiat, modello “Camioncino” della potenza di 24/40 HP con trasmissione a catena; di due sole automobili si conosce il numero di targa: 63-1621 e 63-2143.

Nel 1909 si tentò di utilizzare delle autovetture a trazione elettrica ma la scarsa autonomia, permetteva una percorrenza media di soli cinquanta chilometri, oltre l’eccessivo peso degli accumulatori al piombo che ne riduceva considerevolmente la velocità, fecero abbandonare ben presto l’esperimento.

Ma il grande salto tecnologico avvenne due anni dopo, con l’acquisto delle prime due autopompe in vista dell’Esposizione Universale di Torino del 1911, che rimase celebre nella storia delle esposizioni per la sua importanza.

Berzia – Pompa a mano su carro a un asse

 

Le autopompe erano montate su chassis Itala con motore biblocco a quattro cilindri e trasmissione a cardano, con 35 HP di potenza e ruote doppie posteriormente. La pompa era una Worthington di 2000 litri al minuto. Il numero delle targhe era: 63-2143 e 63-2145.

Tra le lacrime e la malinconia dei presenti, il 1° novembre 1915 gli ultimi cinque cavalli, lasciarono definitivamente le scuderie della Caserma delle Fontane di Santa Barbara per terminare la loro onorata carriera, durata ben ventotto anni, nei più modesti corpi di provincia.

Un altro capitolo si era definitivamente chiuso.

Le scuderie vennero subito modificate per ospitare ben più numerosi e potenti cavalli: quelli erogati dai motori delle ormai numerose vetture e autopompe di cui disponeva il Corpo dei Pompieri.

I tempi di intervento si ridussero drasticamente permettendo ai  pompieri di giungere sul luogo del sinistro non più affaticati ma in grado di operare immediatamente e con la giusta determinazione.
Finalmente l’acqua non veniva più spinta con la forza fisica o con il vapore, ma con potenti pompe mosse dai motori delle vetture.

Si verifica ancora un incidente mortale per un pompiere.

Alle 5,30 del 10 Giugno 1912 scoppia un gravissimo incendio nelle officine della “Società Anonima Officine di Savigliano”. Nelle operazioni di spegnimento di alcune tettoie in fiamme il pompiere Agostino Regis perde la vita cadendo da un’altezza di 15 metri, a seguito del cedimento di alcune strutture metalliche su cui stava transitando.

L’opera delle Guardie a Fuoco di Torino non si limitava ai soli soccorsi nel territorio comunale, ma anche di rinforzo in quelli circonvicini come Ivrea, Avigliana, Cengio, Mazzè, Pinerolo, Biella, Venaria.

Il più grave di questi interventi si ebbe a Rocca Canavese il 18 Ottobre 1924. All’interno dello stabilimento “Phos” che produceva fiammiferi, probabilmente a causa dell’alta infiammabilità del materiale lavorato avvenne una violenta esplosione che provocò il crollo di un’ala dello stabilimento seppellendo numerosi operai. Ulteriori gravi conseguenze vennero evitate dall’arrivo dei pompieri di Torino, che inizialmente impedirono il propagarsi dell’incendio al vicino deposito dei materiali; nel contempo altri pompieri aiutati dai carabinieri e dai militari presenti estrassero dalle macerie numerosi feriti che portarono per sempre i segni evidenti di quella immane tragedia, e 21 corpi senza vita; di questi, 16 erano giovanissimi con un’età compresa tra gli 11 e i 18 anni.

Anche nelle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto Calabro-Siculo del 1908 e da quello della Marsica del 1915, vennero impegnati i pompieri di Torino.

Queste prime gravi sciagure di un’Italia da poco unificata, misero in evidenza la mancanza di un’organizzazione nazionale in grado di coordinare l’opera dei numerosi corpi comunali che, con mezzi non sempre adeguati, accorrevano in aiuto degli scampati. Intanto il campo di attività si allargava sempre di più. Il fuoco non rappresentava più il solo nemico da “affrontare” e “combattere”. I pompieri erano pronti a portare aiuto in ogni avversità accidentale piccola o grande.

Qualunque evento naturale e non che potesse alterare e turbare il normale andamento della vita quotidiana come una fuga di gas, una porta da aprire, un tram deragliato, un cavallo in difficoltà, un cane nel pozzo, vedeva accorrere i civici pompieri, che per ogni differente intervento dispongono del giusto mezzo e della giusta attrezzatura. Questa la situazione dei mezzi e delle attrezzature al 1924 circa

  1. 6 autopompe Spa Api 25 C/10 e 25 C/12,
  2. 2 autopompe Itala,
  3. 2 autopompe Isotta Fraschini,
  4. 3 autocarri Fiat,
  5. 3 autocarri Fiat 18-C,
  6. 3 autocarri Fiat 15 Ter,
  7. 3camion Spa 3000,
  8. 1 vettura Comando Spa
  9. 1 vettura adibita per vari usi,
  10. 3 motopompe Drouville,
  11. 3 motopompe diverse,
  12. 1 scala aerea Magirus da 18 metri,
  13. 1 scala aerea Magirus da 25 metri,
  14. 8 scale aeree Porta da 12, 16, 20 e 25 metri di sviluppo,
  15. 15 scale scorrevoli di due elementi,
  16. 17 scale ad arpioni,
  17. 10 scale all’Italiana,
  18. 1 gruppo elettrogeno,
  19. 1 motoventilatore,
  20. 1 carrello a schiuma,
  21. 1 carro autoprotettori,
  22. diverse barche in alluminio

oltre a moltissime altre attrezzature come lampade, fari, maschere, secchi in tela, cisterne per l’acqua, estintori, puntelli meccanici, teli da salto e a slitta

L’organico alla stessa data era di 154 uomini così suddivisi:

  1.   1 Comandante
  2.   1 Vice Comandante,
  3.   2 Ufficiali,
  4.   5 Marescialli,
  5.   7 Brigadieri,
  6. 19 Vice Brigadieri
  7. 30 Pompieri scelti
  8. 89 Pompieri

Le riforme che si ebbero dal 1934 al 1936 portarono ancora una volta molti elementi innovatori sia nel potenziamento del personale, sia nella dotazione di nuovi mezzi e nuova sedi distaccate.

L’organico in questo periodo ammontava a 188 uomini e rimase pressoché invariato fino alle soglie del secondo conflitto mondiale:

1

Comandante

4

Sottocomandanti

4

Aiutanti

9

Capi Squadra

25

Vice Capi Squadra

33

Pompieri scelti

112

Pompieri

Il parco automezzi era composto da:

1

vettura comando

1

vettura ufficiali

12

autopompe

6

autocarri soccorso

5

autocarri trasporto

1

autoscala Magirus K 30 B da 36 metri

1

autoscala ad innesto tipo “Porta”

1

autoscala a sfilo tipo “Magirus”

1

autolettiga

2

rimorchi

5

scale aeree sistema “Porta”

2

Scale aeree “Magirus”

6

carrelli

13

motopompe

4

barche in lamiera carrellabili brevetto “Torino”

Il valore totale di tutte le attrezzature e del parco mezzi del Corpo dei pompieri di Torino, secondo l’inventario dell’8 febbraio 1936 ammontava a lire 2.028.626.

Con le sue 265.065 lire, l’autoscala Magirus K30 (lunghezza sviluppata della scala, metri 38) era montata su chassis Fiat 634 B con motore maggiorato a cilindrata di 6200 cmc. La costruzione dello chassis era di tipo speciale, fuori serie, che veniva specificatamente costruito per usi pompieristici. Questa autoscala rimase per molti mesi ancora l’unico esemplare circolante in Italia.

Oltre ai mezzi per lo spegnimento degli incendi o per il salvataggio il Corpo poteva contare anche su due autocarri Fiat 635 su cui erano montate due gru; una anteriore con “sbraccio” massimo di metri 4,40 della portata di 5 tonnellate, l’altra era montata posteriormente ed aveva dimensioni più ridotte.

Con la continua espansione e lo sviluppo della città, nel 1934 venne istituito il primo distaccamento cittadino in via Onorato Vigliani (dove tuttora esiste), in una zona a forte accentramento industriale e demografico: il “Lingotto” che  sorse all’estrema periferia sud della città. Le precedenti 6 stazioni vennero abolite nel 1883 al momento dell’insediamento della nuova Caserma Centrale di Strada S. Barbara (oggi C.so Regina Margherita).

Sempre nel 1934, grazie ad un accordo stipulato tra la Federazione Tecnica dei Pompieri e i Ministeri della Guerra e dell’Interno, vennero adottate le nuove divise di panno grigio chiaro, valide per tutti i Corpi dei pompieri italiani. Si compì un primo significativo passo verso l’unificazione nazionale del servizio antincendio.

Nella notte dell’8 febbraio 1936, si concluse tragicamente la storia di un altro glorioso teatro: il Teatro Regio di Torino, che venne in pochi istanti completamente distrutto da un violentissimo incendio. Rimase in piedi la sola facciata prospiciente la piazza Castello e poche strutture metalliche contorte e annerite dal violento incendio contro cui a poco valsero gli enormi sforzi dei pompieri. Scomparse così un gioiello architettonico del ’700.

Ma la paura di una sciagura di vaste proporzioni cominciava nuovamente a serpeggiare tra la gente: la Seconda Guerra Mondiale. Il  coinvolgimento dell’Italia nel secondo conflitto era ormai una questione di pochi mesi.

Il nostro paese avrebbe conosciuto una delle pagine più drammatiche e tristi della sua antichissima storia.

 

Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, prima frammentato nei vari corpi comunali, nasce come tale con il Regio Decreto Legge del 27 febbraio 1939, successivamente convertito in Legge 1570 del 27 dicembre 1941, ed è chiamato inizialmente “a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di servizi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea”.

In seguito allo sviluppo del paese questi compiti diventano sempre più complessi e differenziati, fino a che il D.Lg. n. 139 dell’ 8 marzo 2006 stabilisce che: “Il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, è una struttura dello Stato ad ordinamento civile, incardinata nel Ministero dell’interno – Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per mezzo del quale il Ministero dell’interno assicura, anche per la difesa civile, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale, nonché lo svolgimento delle altre attività assegnate al Corpo nazionale dalle leggi e dai regolamenti, secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo.”

Ogni giorno, ogni notte i vigili del fuoco sono pronti ad intervenire a soccorso di persone, a salvaguardia di beni, a tutela dell’ambiente. La rapidità di intervento, la competenza e l’esperienza purtroppo acquisita in precedenti attività di protezione civile si rivelano fondamentali nell’opera di soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali o grandi eventi disastrosi. All’impegno sempre massimo ed alla professionalità dimostrate in ogni occasione da tutti i componenti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco si affiancano mezzi e tecnologie sempre più efficaci, frutto dell’esperienza quotidiana nel soccorso.

Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, è impegnato a fianco dei bambini dal 1989, da quando cioè ha ricevuto la nomina di “ambasciatore di buona volontà” da parte del Comitato Italiano per l’UNICEF.

Una suggestiva immagine di un APS durante un intervento sotto la neve

Curiosità – Le targhe incendio

La storia delle “TARGHE INCENDIO” e dell’usanza di affiggerle sulla facciata degli immobili assicurati contro i danni dell’incendio, sorta in Inghilterra, è intrecciata strettamente, in modo singolare, col nascere dell’assicurazione di questo rischio.

Inizialmente divenuta tradizione e adottata in tutto il mondo, ma da tempo abbandonata, ci riporta ai tempi in cui l’assicurazione incendio non era diffusa, industrializzata e tecnicamente evoluta come ai giorni nostri, bensì primitiva e talora avventurosa.

Contrariamente a quanto si possa pensare, le targhe hanno avuto solo incidentalmente intenti pubblicitari, che divennero prioritari successivamente, in tempi a noi più vicini. La loro origine, come è storicamente accertato, ebbe invece scopi e significati ben diversi.

Infatti, alle origini dell’assicurazione contro il fuoco non esisteva un servizio pubblico per lo spegnimento degli incendi cosicché erano le Compagnie di assicurazione stesse che dovevano provvedervi in qualità di maggiormente interessate a limitare questi danni.

Allo scopo, si erano formate delle squadre private di pompieri che intervenivano in prima battuta sugli edifici che risultavano assicurati dalla Compagnia per la quale operavano.

Questo cartello – quasi sempre di latta stampata – serviva proprio a individuare a chi spettasse tale compito.

Quando i pompieri divennero istituzioni pubbliche, non fu più necessario che le Compagnie li finanziassero direttamente. Ciò avvenne da allora in poi col versamento allo Stato (od ai Comuni) di sostanziosi contributi – variamente denominati – e allora le targhe assunsero funzione pubblicitaria, non solo quella però, perché questa usanza ha avuto anche un altro fine, di natura psicologica

La straordinaria frequenza degli incendi per vendetta preoccupava nel XVIII e XIX secolo gli assicuratori e le autorità di tutti i Paesi. Di tali preoccupazioni si ha un’eco perfino ne1 Diario di Re Carlo Alberto, il quale in data 23 aprile 1832 annotava:

*** Il est cruel de penser comme depuis quelque temps les incendies par vengeance se multiplient.
Ces crimes ètaient autrefois absolutement inconnus dans notre pays. ***

Le Compagnie ritennero che l’esposizione di targhe attestanti l’esistenza di una garanzia assicurativa potesse costituire un valido deterrente.

Lo comprova una delibera del Consiglio di amministrazione delle “GENERALI” in data 9 settembre 1832 che stabiliva:

*** l’obbligo di massima per l’assicurando di applicare su quanto esposto a pericolo d’incendio per opera di terzi (corti rurali – merci pericolose – covoni di fieno e simili) apposite targhe che, attestando l’esistenza di una garanzia contro l’incendio a tutela del proprietario, dimostrassero a chi nutrisse animosità contro costui l’inutilità di appiccare il fuoco. ***

Che l’affissione della targa fosse contrattualmente imposta all’Assicurato, è comprovato – ad esempio – dallo Statuto della “REALE MUTUA”, che all’art. 25 prevedeva la disposizione in base alla quale il Socio non avrebbe potuto riscuotere in caso di sinistro che i 3/4 dell’indennità spettategli, ove egli avesse:

*** omesso di far apporre al disopra della porta d’ingresso della proprietà assicurata la apposita piastra fornitagli dalla Società e portante la dicitura: “Società Reale d’Assicurazione Mutua contro gli Incendi”. ***

e da quello de “LA ROSIGNANESE” di Rosignano Monferrato in provincia di Alessandria (costituita nel 1911) – una delle centinaia di piccole mutue o cooperative di assicurazione incendio, costituitesi a cominciare da1 1884 (e delle quali alcune sono sopravvissute fino agli anni trenta), che potevano operare per rischi ubicati nel solo comune nel quale avevano sede e per assunzioni globali di rischi assai limitate.

DOVERI DELL’ASSICURAT0 – ART. 35 –

*** Ogni socio è tenuto al pagamento della tassa d’ingresso, della tassa o premio annuale, della polizza e placca che dovrà apporre e tenere continuamente affissa in modo visibile all’esterno di ogni edificio assicurato, o sopra la porta principale d’ingresso dei locali in cui si trovano gli oggetti assicurati, sotto pena di perdere un decimo (1/10) del risarcimento dei danni. ***

 

Come si vede, erano molte le Compagnie che ritenevano opportuno pattuire l’affissione della ’targa’, e penalizzare – in misura indubbiamente pesante – chi non aveva rispettato l’obbligo assunto. Agli assicuratori dei nostri tempi appare incredibile l’imposizione di clausole così jugulatorie.

Ma questa usanza è risultata opportuna, evidentemente, se la pratica di essa è stata mantenuta per tanto tempo; con un mezzo così semplice e poco costoso si riuscì spesso a disarmare mani criminose pronte ad appiccare i1 fuoco per motivi di odio o vendetta.

Gli assicurati condividevano la convinzione delle Compagnie; tenevano anch’essi ad esporre le targhe e si assoggettarono – per un lungo periodo – a pagarne i1 costo insieme ai diritti di polizza.

Le targhe sono state fabbricate con ogni sorta di metallo (in tempi più recenti anche in plastica) e in ogni forma geometrica, riportarono svariati stemmi e simboli, oltre al nome della Compagnia, quasi tutte verniciate a vivaci colori, le più ricercate in metallo smaltato.

Esse costituivano, in fondo, anche un segno di fedeltà: fedeltà de1 proprietario di casa al suo assicuratore, fedeltà dell’assicuratore a chi gli aveva affidato la tutela di ciò che spesso era l’unico bene tangibile della famiglia.

(fonte http://www.asso5a.org/storie_recenti_capitolo_01_guardie_al_fuoco.html)

La Compagnia Operaj Guardie a Fuoco della Città di Torino

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