L’ingresso agli Inferi da Piazza Statuto

 

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Torino rappresenta il vertice di due triangoli magici: il primo, quello bianco, con Lione e Praga, mentre il secondo, quello nero, assieme a Londra e San Francisco, e, secondo gli esoteristi, piazza Castello è ritenuto il luogo più positivo della città (nel punto di congiunzione tra i due Dioscuri Castore e Polluce di Palazzo Reale) mentre piazza Statuto è tristemente deputata al male ed alla confluenza di energie nefaste. In Piazza Statuto,  ai tempi degli antichi romani,  finiva la città – o meglio dire l’accampamento – e iniziava la strada che portava verso la Gallia, l’attuale Francia. Dove si trova ora Porta Susa c’era la Porta Segusina.  Per questo  il lungo corso che parte da questa piazza si chiama corso Francia. Ma non è una collocazione qualsiasi:  in un mondo,  quello degli antichi, che dava molto significato alle congetture naturali,  questa parte della città si trovava ad occidente, dove muore il sole e iniziano le tenebre,  quindi considerata una zona infausta, il confine tra il modo del Bene e quello del male.  Fuori dalla Porta Segusina venivano guistiziati i condannati e tumulati i defunti. Qui iniziava la grande necropoli che andava da corso Francia fino a Via Cibrario e corso principe Eugenio. Furono i francesi a spostare il patibolo  a ”L rondò dla forcà dove venivano giustiziati con la ghighiottina (la “beatissima”) i criminali,  uno slargo all’incrocio tra gli attuali corso Regina Margherita, corso Valdocco e via Cigna:  prima si trovava in questa piazza, che è considerata il centro della magia nera della città.  Nel 1864 teatro di sanguinosi scontri in occasione dei tumulti per il trasferimento della capitale. La stessa etimologia di Valdocco sembra derivare da Vallis Occisorum (Valle degli Uccisi) per essere un altro luogo deputato alle esecuzioni capitali ai tempi dei romani. Infine alcune fonti affermano che in prossimità di corso Valdocco sia stata sterminata tutta la legione tebana in un aspro combattimento. Alcuni dicono che non sia un caso che proprio lì sorga la Basilica di Maria Ausiliatrice dove riposano le spoglie di San Giovanni Bosco che sembra quasi porre un rimedio “energetico” alla presenza di tante anime sofferenti. Gli esoteristi però ravvisano come esatto luogo di massima negatività della città, il monumento che si trova al centro di piazza Statuto. Qui, nel 1879, fu eretto il Monumento al Traforo del Frejus (opera del conte Marcello Panissera di Veglio) inaugurato alla presenza di Umberto I. Con una struttura a piramide costituita da massi trasportati appositamente dal monte Frejus, è sormontata da un Genio alato sotto il quale si trovano figure marmoree dei Titani. E’ un’allegoria del trionfo della Ragione sulla forza bruta anche se un’altra interpretazione la identifica come memoria ai caduti periti durante i lavori di scavo.  Raffigura degli uomini che sembrano voler salire sulla cima del monumento, quasi a raggiungere l’angelo in cima,  che ha in mano una piuma o penna d’oca che rappresenta il sapere,  mentre l’altra mano non ha proprio un atteggiamento benevolo nei confronti delle statue raffiguranti uomini che si stanno spingendo verso di lui, come li volesse fremare per impedirgli di raggiungerlo, per impedirgli di sapere. Sulla cima del capo dell’angelo spicca una stella a cinque punte che a livello simbolico rappresenta il microcosmo ed il macrocosmo con i cinque vertici a rappresentare gli altrettanti elementi metafisici dell’acqua, del fuoco, della terra, dell’aria e dello spirito. Usato come sacro amuleto pagano, è doveroso ricordare che simboleggia anche l’anticristo.  Ad osservare attentamente ogni suo tratto, egli è talmente avvincente da proporre una natura malevola.  In alcuni testi si legge che l’essere alato in questione sarebbe la rappresentazione di Lucifero, “Portatore di luce” (in ebraico הילל o helel, in greco φωσφόρος;  in latino lucifer “stella del mattino”, o anche Vespero  “stella della sera”), l’angelo più bello secondo la tradizione biblica cristiana. http://it.wikipedia.org/wiki/Lucifero

 

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Curiosità: il pentacolo sulla testa del genio o angelo pare sparito per lo meno da settembre 2013. 10154726_749750495057415_1623732211_n foto del 28/09/2013 di Maria Di Savino-Torino

 

Una nota di colore “chiaro”

1942: L’orto di guerra La battaglia del grano si inserisce nella politica autarchica varata dal fascismo nel 1925 nel tentativo di ridurre al massimo le importazioni di frumento dall’estero. Sostenuta con premi in denaro messi in palio dalle amministrazioni civiche, giunse al suo apice tra il 1940 e il 1942 con la realizzazione degli “orti di guerra” e la conseguente trasformazione dei giardini pubblici in aree coltivabili. Torino, tra le prime grandi città nell’osservanza dell’imperativo del Duce non un lembo di terreno incolto, ha celebrato nella prima settimana di luglio l’inizio della trebbiatura del frumento seminato e cresciuto rigoglioso in tutti i terreni di proprietà comunale, da quelli che un tempo giacevano o incolti o scarsamente produttivi a quelli coltivati a piante verdi, a fiori, a prati nei nostri giardini e nei nostri magnifici parchi dove Flora ha ceduto il posto a Cerere.

 

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Coltivazione di girasoli ai piedi del monumento del Frejus in piazza Statuto, Torino, estate 1942

https://www.youtube.com/watch?v=464ks84i97g

 

Due note di colore “scuro”

 

1962:   I fatti di Piazza dello Statuto Piazza dello Statuto rappresenta senza ombra di dubbio l’avvenimento centrale degli anni sessanta per quanto riguarda il movimento dell’autonomia operaia in Italia, che in quelle giornate del Luglio 1962 vede la sua nascita e prepara il terreno all’autunno caldo del 1969. L’estate del 62 è periodo di rinnovi contrattuali a Torino. Più in particolare, ad attendere il rinnovo è il contratto degli operai della FIAT. Le trattative vanno avanti dalla primavera, e in un crescendo di scioperi si arriva così al Giugno. Proprio in questo mese, alcune sigle sindacali, e soprattutto la UIL, decidono di rompere l’unità sindacale e firmano con l’azienda un contratto separato. E’ la goccia che farà trabboccare il vaso. Un ondata di scioperi invade il capoluogo piemontese. Le avanguardie di fabbrica decidono di non ascoltare più i sindacati di riferimento, soprattutto la CGIL, e indicono scioperi in continuazione; scioperi che vedono la partecipazione di quasi tutti i lavoratori della FIAT. Fra tutte le fabbriche di Torino, ormai gli operai in lotta sono più di 250.000, una marea che esplode nelle strade della città. La firma separata della UIL e il morbido atteggiamento delle altre sigle sindacali faranno il resto. L’ondata di scioperi vedrà il suo culmine nelle giornate del 7, 8 e 9 Luglio 1962. Si determina in questo periodo la prima e più grande ondata di scioperi operai dopo la resistenza.    Inaspettato, non solo lo sciopero è enorme ma sin dal pomeriggio del 7 attacca la polizia. E gli scontri andranno avanti per ben tre giorni, anche di notte. I tentativi dei sindacalisti e dei dirigenti del PCI di riportare la situazione alla calma e di far rientrare almeno gli iscritti cadono nel vuoto. Ormai la frattura si è prodotta. I giovani operai, così come i giovani con la maglietta a strisce di Genova, non ne vogliono più sapere delle dirigenze politiche e sindacali. Inizia così il movimento dell’autonomia operaia, che vedrà il suo culmine negli anni 70.

 

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Per chi non lo sapesse, la sede della UIL all’epoca era dentro il fatiscente Palazzo Paravia, sempre in Piazza Statuto.

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1983: Il carnevale diabolico e il rogo del Cinema Statuto di Via Cibrario

 

Nel Febbraio 1983, il Comune organizza tra le polemiche un carnevale a tema: il carnevale diabolico. Il giorno dopo, 13 Febbraio, nel cinema Statuto, adiacente alla piazza, divampa un incendio; muoiono soffocate 64 persone. Gli appassionati di esoterismo che cercano coincidenze inquietanti, finiscono per trovarle. Il film programmato si chiama “La capra“, sinonimo di sfortuna in francese ma anche simbolo del Diavolo. Come osserva Vittorio Messori, nel libro “Il mistero di Torino“, il numero delle vittime fu stranamente simmetrico: 31 uomini, 31 donne, 1 bambino, 1 bambina 64 in totale, come le caselle della scacchiera sulla quale il Diavolo gioca la sua partita; e il giorno, il 13, ai Tarocchi è la carta della Morte.

 

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La “zombie walk” Dal 2009 parte da Piazza Statuto la “zombie walk”: “La ZOMBIEWALK TORINO è una massa di morti viventi che dopo essersi truccati da sè o da una delle postazioni make-up, attendono il via alla marcia più putrida di Torino!”

http://www.zombiekb.com/ https://www.facebook.com/Zombiewalkto?fref=ts

 

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La Porta per l’Inferno Infine, al centro della piazza presso la fontana del Frejus, da sotto l’aiuola centrale, vi è l’accesso che conduce al sistema fognario che qui ha il suo snodo principale. Anche questo elemento favorì il crearsi di leggende e credenze che vogliono la Piazza come fulcro della magia negativa o, addirittura, punto di ingresso di una delle tre Grotte Alchemiche che sarebbero presenti in città.

 

L’obelisco e l’astrolabio, vertice del triangolo oscuro, e il Tombino per l’Inferno Il vertice del triangolo della magia nera (gli altri sarebbero Londra e San Francisco). Per la precisione, si ritiene che il vertice di tale triangolo cada nel punto indicato da un piccolo obelisco con un astrolabio sulla sommità, situato nell’aiuola del piccolo giardinetto di fronte al monumento del Traforo ferroviario del Frejus. In realtà questo obelisco fu eretto nel 1808 su un punto geodetico, in ricordo di un vecchio calcolo trigonometrico del 1760 sulla lunghezza di una porzione di meridiano terrestre (il Gradus Taurinensis), eseguito insieme ad altri punti geografici nei comuni piemontesi di Rivoli (nel quale c’è un obelisco gemello), di Andrate e di Mondovì, ad opera del celebre geofisico matematico piemontese Giovanni Battista Beccaria (L’obelisco infatti è anche chiamato: “guglia Beccaria”[2]). A quest’ultimo fu anche intitolato il piccolo tratto di corso (che fu anche il corso più corto di Torino, 100 m, il cui primato andò poi a corso Ciro Menotti, di soli 60 metri) che parte dal giardinetto dell’obelisco verso il corso Principe Eugenio. Vicino alla sua base c’è un tombino che si dice permetta di accedere direttamente alle porte dell’inferno.

 

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Borgo Vecchio Campidoglio: ammazzati di Guerra

Durante la Seconda Guerra Mondiale  il Borgo è obiettivo strategico per attacchi militari, a causa della centrale AEM e di alcune fabbriche militari presenti in zona. Per tre volte i locali dell’oratorio della Chiesa di S. Alfonso vengono incendiati da spezzoni incendiari. Al poligono di tiro del Martinetto vengono fucilati i dirigenti del CLN piemontese ed altri patrioti; in via Netro viene ucciso un dirigente fascista e di fronte alla chiesa un partigiano.

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La Chiesa di Sant’Alfonso vista da Via Cibrario

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Fattaccio in Via Netro: La Nuova Stampa 1946

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Borgo Vecchio Campidoglio: il giallo di Via Fiano 29, la “casa dello scheletro”

Torino, 15 giugno 1955:  durante la ristrutturazione di un edificio, durante i lavori di scavo in una cantina, viene scoperto sotto il pavimento di terra battuta (ovvero dietro una parete) uno scheletro di donna, avvolto in un sacco. Le indagini sono condotte dal dott. Ferrito, commissario del Borgo San Donato, e dai dottori Maugeri e Sgarra della Squadra Mobile. Secondo il professor Portigliatti, dell’Istituto di Medicina Legale, lo scheletro appartiene ad una donna sui 30-40 anni, alta m. 1,60 che, probabilmente, è stata uccisa da un colpo alla nuca, dove il cranio appare fratturato. Unico indizio: una collana d’oro un monile massiccio, lungo circa 40 cm,  formato da una catena d’oro con appesa (ovvero incastonata) una moneta francese, un Napoleone III da 50 franchi con la data “1858” in una ghirlanda di fiorellini. Il valore è stimato intorno alle 200.000 lire e questo fa escludere la rapina come movente dell’omicidio. Pochi altri oggetti metallici recuperati, tra cui una pinza per capelli, risultano assai meno significativi. Tuttavia, il gioiello non basta a dare un nome alla vittima, deceduta almeno sette anni prima.       Quasi subito sembra di poter identificare lo scheletro: si pensa ad un clamoroso episodio del gennaio del 1947, la scomparsa di Jolanda Bianco, ricamatrice di 41 anni con una movimentata vita sentimentale, sparita da un giorno all’altro dalla sua abitazione in via Giolitti n. 10, senza denaro e senza indumenti. Oltre all’epoca della scomparsa, corrispondono anche la statura e l’età.    Mentre si cercano i parenti della Bianco, emerge una curiosa coincidenza: nella casa di via Fiano abitano alcuni parenti di Benito Lorenzi, il calciatore dell’Inter soprannominato Veleno, l’inventore del soprannome Marisa attribuito a Giampiero Boniperti. Gli abitanti della casa non sono però sospettati, si pensa che la vittima sia stata uccisa altrove e successivamente sia stata portata, avvolta in un sacco, nella cantina di via Fiano che, in tempo di guerra, era stata anche munita di una apertura verso l’esterno, per usarla come rifugio antiaereo.     Viene anche fuori che sette anni prima, è scomparsa una giovane donna della borgata Campidoglio, ma le sue caratteristiche non combinano coi reperti della morta. In un primo tempo, i parenti di Jolanda Bianco sembrano offrire qualche appiglio alla identificazione, non riconoscono la collana ma sembrano ricordare le caratteristiche fibbie delle scarpe.      Il 18 giugno 1955, La Stampa annuncia un raffronto, eseguito all’Istituto di Medicina Legale, della foto del volto della scomparsa Jolanda Bianco con il teschio ritrovato ma la promettente ipotesi di identificare lo scheletro con Jolanda Bianco sfuma presto nel nulla.   Dopo un periodo di silenzio, il 31 luglio 1955, La Stampa annuncia che altre persone credono di identificare nella morta una loro parente. La famiglia Fiorioli, residente a Bellinzona in Svizzera, si è fatta avanti per annunciare che la morta sarebbe Gemma Fiorioli, nata a Biasca in Canton Ticino nel 1912. La Fiorioli mancava da casa ormai da otto anni, era partita per un viaggio in Italia da cui non aveva più fatto ritorno: la sua ultima cartolina era stata spedita da Torino. I Fiorioli sostengono di avere riconosciuto la collana con la moneta di Napoleone come appartenente a Gemma ma anche questa pista svizzera presto si risolve in un nulla di fatto.   Le indagini per identificare lo scheletro di via Fiano, a questo punto, assumono un carattere più “scientifico”: gli inquirenti, oltre che seguire le piste offerte dalla segnalazione di persone scomparse, analizzano i reperti con le tecniche della Polizia scientifica.       Ai primi di settembre, il sacco che avvolgeva lo scheletro è riconosciuto come un sacco per il commercio del carbone. Emerge così una terza pista. Si inizia a parlare di una giovane calabrese di nome Maria che, nel 1943, aveva 28 anni e lavorava saltuariamente come rammendatrice dei sacchi di carbone presso un carbonaio della borgata Campidoglio. Viene anche trovato l’autista di un camion a gasogeno che, sempre nel 1943, la frequentava ed andava a prenderla all’uscita dal lavoro. L’uomo abita ancora nei pressi di via Fiano.      Anche questa volta le indagini non approdano a nessun risultato. Si parla ancora dello scheletro di via Fiano nel febbraio dell’anno successivo, il 1956, quando la signora Carla Liesch Tolentino, abitante a Trieste, crede che si tratti di sua figlia Nives, scomparsa a Torino nei giorni della Liberazione. Nives Tolentino era una ragazza di 24 anni, bella e slanciata: come figlia di padre ebreo, per sfuggire ai nazisti a Trieste, si era recata a Torino dove conosceva un tenente dell’esercito di Salò.     Questi era fuggito a Milano prima del 25 aprile 1945. Sedicenti “partigiani” avevano fatto irruzione nell’alloggio di Nives Tolentino: lei era assente e loro lo avevano saccheggiato. In seguito erano tornati ed avevano portato via la ragazza che, dal 3 maggio 1945, era scomparsa. La signora Carla Liesch, a sostegno del suo riconoscimento, dichiara che la figlia Nives possedeva un Napoleone d’oro. Ma il dottor Maugeri si dice scettico: la morta è una donna sui quarant’anni, di bassa statura e deceduta 20-25 anni prima. Questa segnalazione non ha ricadute per le indagini.     Oggi l’unica certezza è che il caso dello scheletro nel sacco è rimasto insoluto.

 

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Il “Giardin dèl Diau” nella Tesoriera

Costruita tra il 1713 e il 1715, deve il suo bizzarro soprannome ad Aymo Ferrero di Cocconato, primo proprietario della villa nonchè consigliere e tesoriere generale dello Stato sabaudo. Si narra che nottetempo, un cavaliere nero (ovvero un cavaliere mascherato, avvolto in un mantello nero bordato di rosso) galoppi nel parco sul suo nero destriero, probabilmente il fantasma del “povero ricco” tesoriere Aymo Ferrero Di Cocconato, che morì tre anni dopo aver preso possesso della villa, per questo il parco è anche conosciuto come Giardin dèl Diau (giardino del diavolo). Pare anche che il destriero indiavolato abbia lasciato il segno di una zoccolata contro uno degli alberi del Parco. Un’altra leggenda vuole che il parco ospiti il fantasma di una giovane dama, probabilmente un’amante del tesoriere, che sarebbe stata murata viva nella villa.   Dopo la morte del tesoriere la villa passò nelle mani di diversi proprietari, attraversò periodi di forte decadenza e tra il 1794 e il 1814 fu occupata dai Francesi e utilizzata come caserma.   Ma sembra che tutti furono messi in fuga proprio dal manifestarsi della dama. Ancora oggi, si racconta che nei pomeriggi d’inverno, quando il parco è immerso nel silenzio e nella desolazione, si possa percepire la presenza della dama e vedere un’altalena muoversi in un dondolio costante. Ma accanto alla tradizione, ci sono i racconti di chi vive nella villa da 27 anni a testimoniare la presenza dei fantasmi all’interno del parco. Il custode della Tesoriera dal 1981, Mario Piovano, prima di accettare il lavoro, anche lui aveva sentito parlare di quelle leggende sui fantasmi che infestano la villa. «Ma, ovviamente, non ci avevo dato peso – spiega -. Non sono mica un credulone». Invece dopo pochi mesi ha dovuto ricredersi. «Il primo fenomeno paranormale si è verificato nel 1982, dopo nemmeno un anno dal mio insediamento – racconta -. Una mattina mi trovavo nella biblioteca musicale, ero solo. Ne sono sicuro. All’improvviso, un forte vento ha fatto sbattere le porte. Un’aria gelida ha avvolto il mio corpo, per qualche secondo non riuscivo più a muovermi, ero paralizzato». Poi, all’improvviso, Mario ha percepito intorno a sé la presenza di uno spirito. «Era una donna, una ragazza che sembrava impaurita – ricorda -. Era triste, disperata, voleva parlarmi per chiedermi aiuto. È durato pochi istanti, poi quel gelo se n’è andato e la figura della donna è sparita». Scosso dalla misteriosa apparizione, in un primo momento il custode ha pensato di aver avuto un’allucinazione. «Invece quella ragazza continua a parlarmi da 27 anni – dice -. Mi ha detto di essere stata uccisa e seppellita sotto la Tesoriera durante un sacrificio organizzato da una setta all’inizio del secolo scorso. È francese e chiede aiuto. Vuole che qualcuno la tiri fuori da quelle mura». È difficile stabilire se ci sia o meno un collegamento tra l’apparizione del Maligno che gira a cavallo e la richiesta d’aiuto delle giovane donna trucidata nella villa, ma su una cosa Mario non ha dubbi. «La Tesoriera è infestata dai fantasmi – dice -. C’è un alone di paranormale che aleggia su tutto il parco, sono 27 anni che assisto queste apparizioni. E se all’inizio è stato difficile, ora non ci faccio quasi più caso. Gli spiriti mi hanno accettato e io ho accettato la loro presenza. Almeno, non rimango mai da solo…»

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Il Tarocco Piemontese e il Diavolo come Arcano Maggiore

Grazie alla sua vicinanza alla Francia, ma forse anche per influenza dell’Italia settentrionale, il Piemonte conobbe e usò ben presto i tarocchi, che sono ancora uno dei pochissimi mazzi di questo genere in produzione. Alla fine del XIX secolo fu introdotto il tipo a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate. Le poche variazioni rispetto al mazzo tradizionale sono date dall’uso dei numeri arabi al posto di quelli romani, dalla testa del Matto, Associata a una farfalla, dal Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l’iconografia popolare delle anime del Purgatorio.

http://www.manoiniziale.com/gioco/dalla-r-alla-z/t/tarocco-piemontese/ http://blog.libero.it/theguitar/1900596.html

http://www.cavallore.it/index.php/mazzi-di-carte/particolari/89-tarocco-piemontese

15 – IL DIAVOLO: indica fatalità, forza maggiore, sensualità, tentazione, malattia, destino. Nel gergo dei giocatori piemontesi le ultime due carte hanno dei soprannomi: bërlica fojòt (lecca pignatte) per il Diavolo, che, come è noto, fa le pentole ma può anche leccarle quando sono bollenti senza bruciarsi; Catlin-a per la Morte, che ha tramandato la fama di sventura al numero che la connota, il tredici appunto. http://giochi-di-carte.lotoflaughs.com/gioco-del-diavolo.php Il Gioco del Diavolo si può giocare con un numero di partecipanti da 2 a 10, volendo, è possibile giocare anche in più giocatori. Per giocare si utilizzano 78 carte dei Tarocchi Piemontesi. La dinamica di questo gioco è molto simile al Sette e mezzo. Lo Scopo del gioco è quello di ottenere esattamente 15 punti sommando i valori della carte ricevute man mano dal banchiere. Il valore delle carte è:

Re – Donne – Cavalli – Fanti 1/2 punto
Dall’Asso al Dieci Il valore facciale
Tarocchi Il valore numerico

Eseguita la distribuzione delle carte ogni giocatore analizza la sua carta, se questa è il Diavolo lo annuncia e si impossessa del piatto. Se nessun giocatore dichiara il possesso del Diavolo il giocatore a destra del mazziere è di turno a parlare e può: ritirarsi dal gioco oppure chiedere una carta, che gli viene consegnata coperta. Il giocatore che realizza 15 punti deve annunciarlo e ritira la posta.

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La Torino “diabolica” e “nera” da Piazza Statuto alla Villa Tesoriera

4 pensieri su “La Torino “diabolica” e “nera” da Piazza Statuto alla Villa Tesoriera

  • 3 febbraio 2020 alle 00:36
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    Esiste ancora lo scheletro della donna misteriosa? Se si, non si potrebbe effettuare l’esame del DNA in maniera più approfondita? Almeno, dopo oltre 60 anni, si chiude il caso…

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  • 10 gennaio 2021 alle 17:52
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    non so chi abbia scritto questo articolo ma è farcito di inesattezze e balle vere e proprie.

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    • 11 gennaio 2021 alle 19:39
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      le spiacerebbe chiarire quali sarebbero le inesattezze

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      • 27 aprile 2021 alle 11:02
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        1) la porta segusina non era dove si trova la stazione di porta susa ma all’altezza di piazza savoia 2) la ghigliottina era in piazza carlo emanuele II 3) le uniche tracce di necropoli si trovano in piazza XVIII dicembre e non se ne trova traccia in corso principe eugenio. tralascio le fandonie di carattere mistico-esoterico che fanno solo ridere

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