HERE3

18-27/5/2018

MAU – MUSEO ARTE URBANA

 

(HEY HEY, MY MY) UTOPIA CAN NEVER DIE

a cura di EDOARDO DI MAURO

con

Hector Mono CARRASCO, Daniele D’ANTONIO, Giuliana MILIA, Eugenio SINATRA, Ugo VENTURINI

 

 

La civiltà contemporanea sta andando verso la propria autodistruzione: non solo attraverso il progressivo depauperamento e contaminazione del pianeta, ma accelerando motu proprio questo processo con l’intensificarsi di guerre locali, sempre più diffusamente distruttive.

L’elemento nuovo, che avvicina le guerre locali ai due conflitti globali del secolo scorso, è il coinvolgimento di sempre più attori in ogni singola situazione di crisi in qualunque parte del mondo avvenga.

Questo fenomeno pare avere come unico scenario prevedibile il big bang al contrario dell’umanità, con la distruzione completa di tutto e di tutti.

Causerà la distruzione e l’estinzione dell’Umanità? Probabilmente no, la natura sa essere più forte di qualsiasi scelleratezza umana, ma nell’ipotetico scenario postapocalittico occorrerà ripensare all’Utopia come nuovo e consapevole progetto evolutivo.

Stiamo parlando di una Utopia trasversale a qualsiasi altra finora elaborata, ed universale rispetto a queste: chiedersi dove si è sbagliato nel passato, per non ricadere, nel futuro, nei medesimi errori.

E allora necessiteremo di una revisione dei Valori Utopici fondamentali, basandoci sulla Bellezza nel più ampio senso del termine, come motore fondamentale delle donne e degli uomini nuovi, che riuscirà ad attraversare indenne il Momento Definitivo, e rigenerare nuovi presupposti evolutivi.

La mostra collettiva proposta dal MAU nell’ambito di HERE3, a cura di Edoardo Di Mauro,  esplora in una unica grande installazione lo stato limite del processo, dal contesto immediatamente precedente il momento T0, all’inizio del nuovo corso.

Prende spunto nel titolo, parafrasandolo, da un verso di una canzone di Neil Young del 1979: proviene quindi dall’ultima fase epocale in cui gli Artisti mettevano in opera le aspettative ed i sogni di una intera generazione di donne e uomini, verso un progetto cui tendere la loro azione sociale e quotidiana.

La narrazione avviene attraverso le opere dei cinque artisti partecipanti: si parte da un estratto di M.I.M.B.Y#4 – Maybe In My BackYard con un bombardamento tecnologico su Torino nei toni del grigio e del nero, di Daniele D’Antonio, per passare all’etereo femminile evanescente e inafferrabile delle cianotipie del Femminino a Perdere di Eugenio Sinatra, la Bellezza nella sua più classica rappresentazione come novella Araba Fenice che passa indenne attraverso la distruzione, per approdare agli elementi biologici fondamentali e fluttuanti delle tele del “Brodo primordiale” di Giuliana Milia, dove il colore prende definitivamente il posto del nero e del cupo, e alla modellazione della materia, anch’essa in colore, anch’essa in movimento,  anch’essa espressione di bellezza, dell’opera L’arte di arrangiarsi di Ugo Venturini, tendenti tutti verso la sintesi Utopica rappresentata dal grande quadro ” La Cultura es Nuestra” di Mono Carrasco come ultima tappa dell’installazione, con il Colore che prende pieno possesso dello spazio e le Arti e la Pace, strumenti iconici nelle mani delle Donne e degli Uomini.

 

Daniele D’Antonio

 

 

 

Come ho scritto in un testo di accompagnamento di un evento parallelo, organizzato da un gruppo di docenti e studenti dell’Accademia Albertina, che ripropongo ; ” L’arte che si confronta con la dimensione metropolitana per costruire nuove narrazioni, ha conosciuto, in Europa ed in Italia, una significativa crescita negli ultimi anni.

In un epoca in cui la globalizzazione finanziaria causa danni irreversibili agli Stati, ed amplifica gli effetti perversi dello “star system”, l’arte sembra vivere una condizione di schizofrenia, non inedita, ma enormemente amplificata.

Da un lato un mondo glamour e patinato caratterizzato da quotazioni ingiustificate, al netto della qualità degli artisti, numericamente minoritario, e dal moltiplicarsi di fiere in ogni angolo del globo, dove i nuovi ricchi asiatici e mediorientali danno sfoggio della loro onnipotenza economica, così come di biennali incrementatesi esponenzialmente di numero, senza apportare alcuna novità concreta, ospitando la medesima compagnia di giro di artisti e curatori “internazionali”.

Dall’altro la maggioranza degli operatori dell’arte che quotidianamente porta avanti, con impegno, fatica e passione, l’impegno artistico, critico e didattico, confrontandosi con un mercato ed un sistema “normali” e quotidiani.

Due mondi paralleli e scarsamente comunicanti.

Una pratica come quella dell’ arte pubblica, ha saputo riattualizzarsi, dopo la teoria e le aspirazioni delle avanguardie storiche e del Situazionismo, dando risposta ad esigenze di rinnovamento del linguaggio  dalle aride secche dell’international style, e di un neo concettualismo  patinato e sempre uguale.

La dimensione pubblica è quella in cui attualmente l’arte riscopre la sua vocazione didattica ed etica.”

 

Il Museo d’Arte Urbana si pone come soggetto attivo di pratiche condivise e partecipate sull’arte contemporanea.

Le 204 opere permanenti prodotte dal 1995 ad oggi , prevalentemente nel Borgo Campidoglio, ma anche in altre zone emblematiche della città come Mirafiori Sud e Falchera Nuova, indicano la volontà di proporre una didattica allargata sull’arte contemporanea tale da rendere consci i cittadini dell’importanza della stessa in termini di stimolo alla crescita personale e salvaguardia estetica della metropoli tramite la bellezza diffusa.

Sempre più il MAU si propone come realtà aperta alle istanze non solo dell’arte, ma anche del sociale, in una dimensione pienamente pubblica.

L’adesione ad Here 3, con la mostra coordinata ed allestita da Daniele D’Antonio, ideatore della Cabina dell’Arte Diffusa, che ne ha ampiamente descritto le motivazioni teoriche, si inquadra in questa dimensione di apertura.

Cinque artisti fortemente impegnati in una condivisione pubblica della loro poetica, oltre allo stesso D’Antonio, Eugenio Sinatra, Giuliana Milia, Mono Carrasco ed Ugo Venturini, propongono con le loro opere  una dimensione di rinnovata e trasversale utopia.

Non bisogna perdere il coraggio : le utopie di coincidenza tra arte e vita proposte nel Novecento dalle Avanguardie Storiche e dal Situazionismo, hanno trovato una parziale rispondenza in questo nostro tempo globalizzato, tramite l’arte pubblica e le pratiche partecipate.

La Cavallerizza Reale è un luogo simbolo da molti punti di vista.

La sua occupazione ha dimostrato la voglia di partecipare, esporsi e mettersi in discussione dei molti soggetti attivi, a Torino, nell’ambito delle arti, e la scarsezza assoluta di luoghi pubblici dove mettere in mostra e condividere le proposte.

 

Edoardo Di Mauro

 

 

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HERE 2018: (HEY HEY, MY MY) UTOPIA CAN NEVER DIE

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