Ferruccio D’Angelo è nato nel 1953. Vive e lavora a Cambiano (To)

Nella seconda metà degli anni’80, fino ai primi anni’90, l’arte italiana dell’ultima generazione porta avanti una rivisitazione intelligente degli stereotipi formali delle avanguardie novecentesche, da quelle storiche fino alle più vicine nel tempo, compresi pop e concettuale, con un multistilismo che vede in quegli anni prevalere ancora la pittura, poi l’installazione e le proposte astratto-geometriche, condite da una buona dose di sagace ironia e da una dovuta immersione nel clima frenetico della post modernità. In quel periodo si forma e prende corpo il progetto artistico di Ferruccio D’Angelo, che si pone all’interno di una linea di rinnovamento del linguaggio della scultura e dell’installazione nei confronti sia dei canoni, ormai superati, del monumentalismo d’avanguardia, che di quelli a suo tempo di rottura dell’Arte Povera. E’ comunque dal quel tracciato che trae inizialmente ispirazione il lavoro di D’Angelo, il quale non accetta, però,  sudditanze di tipo formale e ancor meno psicologiche. Nei fatti il rapporto possibile ed idealizzato, tra artificio, inteso come tecnologia, e natura, è stato da D’Angelo invertito nei termini, con un netto predominio formale del primo, in accezione simbolica, rispetto al secondo. I bidoni riciclati, dipinti monocromaticamente con tempere acriliche blu e nere ed altre vernici, rappresentano, ad onta dello spunto iniziale, un superamento delle tematiche classiche dell’installazione concettuale, rivolto in direzione di un funzionalismo provocatoriamente vicino alle forme più recenti del design, come nel caso delle grandi sedie oggetto di una personale nella galleria milanese di Piero Cavellini nel 1991 e poi riproposte, sempre con successo, in varie altre occasioni nel corso degli anni. Anche quando oggetto della proposta è l’evocazione della natura, come nel caso dei tronchi d’albero e di altre soluzioni visive affini, il risultato è quello di un’immagine rigorosa formalmente, come un minimalismo aggiornato ai nostri giorni, ma al tempo stesso ludica, al pari dell’artificio assoluto tipico dei principali esponenti dell’oggettualismo pop italiano, come Gilardi e, soprattutto, Pascali.

Complessivamente lo stile degli anni’90 fino a questa fase centrale del nuovo millennio ha mantenuto inalterate alcune caratteristiche del decennio precedente, con alcune significative varianti, sia sociologiche che formali sempre più marcate ed evidenti in questi anni. Per il primo aspetto il pieno ingresso nella società postindustriale, segnato da una sempre più ampia invasività delle nuove tecnologie, ha innalzato notevolmente, anche in risposta ad una reale esigenza sociale, il numero di coloro che si cimentano in attività estetiche. Dall’altro la crescente immaterialità, se non artificialità, del nostro vivere quotidiano, ha generato due opposte reazioni. Da un lato un avvicinamento, nei casi peggiori un appiattimento, dell’arte sul reale, dall’altro un distacco, un rifugiarsi nei territori dell’allegoria e del simbolo. L’installazione si è sempre più incamminata nei territori dell’oggettualismo, la pittura ha mantenuto la sua centralità, grande successo ha conosciuto l’uso della fotografia e del video. Ferruccio D’Angelo, tra le onde di questo caotico pelago, ha mantenuto salda la barra del timone, indirizzando il suo stile verso approdi sicuri. La passione per l’installazione si è mantenuta costante, ma sono state perlustrate altre anche strade, in coerenza  con il suo spirito saggiamente eclettico. Dapprima la fotografia, a colori ed in bianco e nero, in cui si riproducevano le installazioni stesse, con un risultato finale ambiguo e straniante. Successivamente con la proposta di sculture da interno, ancora più vicine all’universo dello stilismo e del design, e fede ne fa la partecipazione a varie rassegne internazionali dedicate alla contaminazione tra l’arte visiva e le sue varie applicazioni funzionali. Negli scorsi anni l’artista si è concesso una pausa di interesse prevalente, con risultati eccellenti da un punto di vista estetico, nei confronti di una pittura dove solo in parte veniva mantenuta la fedeltà alla precedente dimensione minimale. Al contrario si potrebbe semmai parlare di una sorta di “barocco postmoderno”, di una teatralità e ridondanza dell’immagine contestualizzata però in una dimensione presente. Prova né è il richiamo “secondario” nei confronti della tecnologia, in particolare per i fotogrammi di immagini televisive e pubblicitarie che non venivano, però, proiettate sulla tela adoperando il ricalco fotografico ma si reinventavano iconograficamente con una modifica dei toni graduale, prodotta con colori ad olio ed una prassi, dal punto di vista squisitamente formale,  fedele ai canoni classici. Nell’ultimo periodo D’Angelo conosce una fase di grande fermento e di felicità creativa supportata anche da un sempre più concreto riconoscimento dei suoi meriti artistici, dato questo che lo accomuna alla  urgente e non rinviabile esigenza di storicizzazione della generazione degli anni ’80 di cui egli è certamente esponente tra i più significativi. Mantenendo costante la sua produzione di installazioni sia monumentali che di scala più ridotta, nei lavori recenti D’Angelo è tornato all’antica predilezione per l’utilizzo di reperti oggettuali sferici, coperchi plastificati, materiali di recupero che nobilita con una grafia pittorica asciutta e rigorosa ma dai toni decisamente più caldi rispetto a qualche anno fa. Tracciati di linee ed addensamenti di colore che riecheggiano la tradizione di calligrafia aniconica dell’Informale europeo ed asiatico, ma anche i ritmi pulsanti dei graffiti urbani, con un risultato finale di immanente attualità.

Edoardo Di Mauro

 

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Ferruccio D’Angelo

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