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I miei ricordi s’iniziano in due camere di una casa di ringhiera in cui vivevamo in quattro, con una finestra su via San Donato – scrive Enrico Cuppari, classe 1931, Torino, Lungopo Antonelli 117/4 – da cui vidi per la prima volta il tram lungo, della linea 13 a tre porte chiuse, in sostituzione di quello traballante a due porte aperte, che concluse la sua attivita’ molti anni dopo sulla linea 17 con il percorso dal Martinetto a Sassi.

I ricordi scorrono e mi vedo alunno della scuola elementare Boncompagni, con la maestra Candelletti (1a elementare), i maestri Carzana (mori’ investito dal tram in via Po), Dal Ponte, il severo Vianello, il direttore Alessandro Rocco.

La scuola era ed e’ tuttora in via Galvani e raccoglieva i bambini di famiglie povere di via San Donato, corso Regina, Martinetto e i bambini delle famiglie ricche di via Cibrario, via Peyron, corso Francia.

Tra i compagni c’era anche Sandro Doglio, poi diventato famoso giornalista.

La scuola era al centro di questi due quartieri socialmente diversi, a destra i benestanti, a sinistra i proletari, quasi anticipando la posizione in Parlamento delle forze politiche dopo la liberazione.

La guerra concluse il mio periodo scolastico, appena in tempo per ottenere la licenza elementare.

Inizio’ la quotidiana lotta alla carestia col tesseramento dei generi alimentari (la borsa nera non era alla nostra portata): conobbi la paura dei bombardamenti.

Il filo della memoria percorre via San Donato, transito per il poligono del Martinetto, ora elevato a perenne ricordo di coloro che li’ furono sacrificati, e allora luogo di paura e di morte; strada di transito dei militari tedeschi in libera uscita, che dalle postazioni antiaeree della Pellerina andavano in centro, giovani strappati dalle loro case, dai loro affetti e che vivevano la tristezza di tutti i soldati, costretti a combattere la guerra dei loro capi; strada in cui si svolse, nei giorni della Liberazione, una battaglia tra partigiani e nazifascisti che si concluse con la mediazione dell’anziano parroco don Vacha.

Arrivo’ la Liberazione, la fine della guerra Ricordo il primo posto di lavoro, a 14 anni, regolato dalle garanzie previdenziali, perche’ il lavoro, diciamo sommerso, era cominciato tre anni prima (quale perverso confronto con l’attuale crisi occupazionale dei giovani di oggi).

La piccola officina, nella quale lavorai nove anni, (la ditta Silvetti Erminio di corso Traiano alla quale si riferisce la foto), era la classica boita che produceva accessori per automobili, fari, dischi copriruota, paraurti ecc.

con sistemi di lavorazione della lamiera ormai scomparsi, come il tornitore di lamiera (l’arpuseur), lavoro svolto a cottimo che consentiva anche buoni guadagni, ma in gravi condizioni di fatica e di rischio.

La prevenzione antinfortunistica era approssimativa o inesistente.

Nel 1946 il Comune di Torino istitui’ corsi triennali integrativi serali, destinati ai ragazzi che avevano interrotto la scuola per la guerra; fu l’occasione per ritornare sui banchi, e arrivare alla licenza di avviamento al lavoro, titolo di studio che consentiva l’iscrizione ai sei anni di corso serale (Avogadro), per periti.

Venne il diploma, faticosamente, e il posto alla Fiat, per 37 anni.

Poi la pensione.

DOPOGUERRA Il primo posto di lavoro

2 pensieri su “DOPOGUERRA Il primo posto di lavoro

  • 10 settembre 2017 alle 12:21
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    Buongiorno vorrei puntualizzare un errore commesso nella suddetta testimonianza in quanto pronipote di Silvetti Erminio.
    La boita di cui si fa riferimento era la ditta che mio bisnonno aveva in via Nizza n. 64; quella in via Traiano fu completata soltanto nel 1953 quando il signor Enrico Cuppari aveva 22 anni e non 14.
    Essa inoltre non era una boita, ma fabbrica di nuova costruzione.

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    • 11 settembre 2017 alle 10:21
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      Grazia mille per la precisazione!

      Rispondi

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